Tzappàiu e Tsippor (rAPc)
Estratto da:
Mandras Mario, Salmos a Tarsis,edizioni
Mastru, Sassari 2013
Tzappàju e tsippor
A riprova dell’utilità del confronto di parole, in riferimento al sardo logudorese con il testo ebraico, ci soffermiamo come esempio a:
tzappaju (sparviero) con tsippor (rAPc): Salmi (8,9; 11,1; 84,4; 102,8; 124,7). La traduzione del testo ebraico col termine passero, uccelletto, (bird), ci sembra sminuisca il contesto: un passero, dal volo poco resistente e fragile, che si rifugi nell’ardua costa del monte (11,1), o che riesca nell’impresa di trovare una casa o un rifugio, per lui molto facile, vista la sua piccolezza (84,4), o che si senta solo sopra un tetto, sua abituale dimora (102,8), o che sia il destinatario della trappola del cacciatore, considerato il suo scarso valore (124,7).
Mi sembra che il termine sardo tzappàju venga in aiuto al somigliante termine ebraico tsippor, in quanto individua con precisione lo sparviero che sembra adattarsi meglio al contesto dei salmi citati. Il volo dello sparviero, o simile rapace, connota meglio la fuga verso il monte (11,1); la ricerca di un rifugio per lo sparviero definisce meglio la fatica dell’impresa (84,4); il vagare dello sparviero sulle cime (dei monti), a lui abituali, indica meglio la difficoltà esistenziale (102,8); la fuga dello sparviero dalla trappola dà un forte senso della liberazione (124,7). Si tratta,
a nostro avviso, di un termine di antica cultura fenicia, comune in quei tempi all’area mediterranea. Forse a motivo della diaspora e della travagliata storia del popolo ebraico si era persa la precisa identificazione dello tsippor, che invece è stata conservata nel corrispondente termine tzappàju, nella cultura e nella lingua sarda-logudorese della popolazione sedentaria della Sardegna. Si noti come in entrambi i termini siamo presenti le lettere sade (j ) e pe (p ) dell’antica scrittura fenicia.
Nel salmo 8,9 letteralmente si fa riferimento allo tsippor del cielo e ai pesci del mare. Come nel versetto 8,8 le pecore e i buoi rappresentano tutti gli animali domestici, così lo tsippor, lo sparviero, può ben rappresentare tutti gli uccelli dei cielo.
Nel salmo 102,7 si fa riferimento allo tsippor solitario sulla sommità gG" (gag), termine che nel Vecchio Testamento compare 30 volte in riferimento alla sommità di un edificio, mentre in Ez (30,3; 37,26) si fa riferimento alla sommità dell’altare dell’incenso e in Ez 40,13 si fa riferimento alla sommità di una porta. Se lo tsippor indica lo sparviero, o simile rapace, la sommità dove si trova in solitudine è più congeniale intenderla nelle sommità o cime dei monti.
Il termine tsippor compare in diversi libri dell’Antico Testamento, oltre che nei salmi.
Nel libro dei Numeri (22,2; 22,4; 22,16), nel libro di Giosuè (24,9) e nel libro dei Giudici (11,25), Tsippor si riferisce al nome di persona, di alto
rango sociale, principe o re di popolazioni
confinanti, i Moabiti.
Considerata l’importanza e l’alto valore simbolico del proprio nome, soprattutto in riferimento a principi, risulta altamente improbabile che il termine tsippor possa riferirsi ad un uccello piccolo e di scarso valore come ad esempio al passero o simili.
Inoltre, considerata la stretta relazione tra il proprio nome e le caratteristiche della propria personalità e del proprio ruolo sociale che si vuole manifestare agli altri, non risulta confacente esprimere con il proprio nome una intera e generica classe di animali, come ad esempio uccelli.
Riteniamo pertanto che Tsippor, soprattutto in riferimento a persone che occupano elevati ruoli sociali, si riferisca ad un uccello che abbia caratteristiche di grandezza, di forza, di marcate abilità e di unicità, che rendano la persona fiera del proprio nome.
L’identificazione dello tsippor con lo sparviero, o simile nobile rapace, è congeniale al nome Tsippor di chi occupa elevate posizioni nel contesto sociale.
Nel libro del Deuteronomio (4,17) al fine di evitare la corruzione dell’idolatria viene data la norma di non rappresentare alcuna immagine né umana, né di qualche animale terrestre, né di qualche uccello (@n"K' kanaph ), dello tsippor che vola nel cielo…
In Deuteronomio 14,11 si stabilisce che si può mangiare ogni tsippor puro.
In Deuteronomio 22,6 viene data la norma di non portare via dal nido dello tsippor, in cui ci si imbatte, la madre con i piccoli.
Nel libro dei Proverbi ( 7,23) a riguardo di chi va in cerca di prostitute si afferma: “Come lo tsippor si affretta, senza sapere che un laccio è teso contro la sua vita”.
Ezechiele (17,23) afferma che Iavè dalla cima dei giovani rami di un cedro staccherà un tenero ramoscello e lo pianterà sopra un alto monte. Diventerà un magnifico cedro; sotto di lui dimorerà lo tsippor e ogni specie di uccello (kanaph) starà all’ombra dei suoi rami.
Ezechiele (39,4) profetizza contro Gog e afferma: “Tu cadrai sui monti d’Israele… ti ho destinato in pasto agli uccelli rapaci d’ogni specie e alle bestie selvatiche” (Così la Bibbia di Gerusalemme). Letteralmente però si afferma:“…ti darò in pasto all’ `ayit, allo tsippor, a ogni kanaph e all’ animale (chay) dei campi”.
L’espressione uccello predatore (`ayit), senza altri termini di supporto, ricorre anche in Genesi 15,11 : Abramo scaccia gli uccelli rapaci che calano sugli animali da lui sacrificati; in Isaia (18,6 : Iavè abbandona il paese d’Etiopia agli uccelli rapaci; 46,11: Dio chiama dall’est un uccello predatore); in Geremia 12,9: l’uccello rapace si lancia sul popolo di Dio; in Giobbe 28,7: l’uccello rapace non conosce il sentiero che porta alla sapienza.
Dal momento che `ayit significa uccello rapace, l’espressione `ayit tsippor in Ezechiele 39,4 dovrebbe leggersi il predatore e lo tsippor, altrimenti il termine tsippor risulterebbe una inutile ripetizione,
considerato anche che subito dopo viene riportato il termine kanaph, che significa uccello in generale. I termini in sequenza: `ayit, tsippor e kanaph si riferiscono tutti alla classe uccelli e indicano probabilmente una classificazione decrescente quanto a capacità e voracità predatoria.
Nel sardo logudorese per indicare l’avvoltoio si usa anche il termine ae, nel sardo gallurese si usa anche il termine àia, molto simili al termine ebraico `ayit, che verrebbe così identificato con l’avvoltoio. Nel logudorese per indicare lo sparviero si adopera anche il termine tzappaju, tradotto in gallurese con ciappàggiu, in campidanese si ha il termine tzrapadderi e in sassarese si ha ippaderi ( si vedano le voci avvoltoio e sparviero in Dizionario universale della lingua della Sardegna di Antoninu Rubattu – Editoriale La Nuova Sardegna, Sassari, 2006).
La lingua sarda, logudorese, nuorese, campidanese, gallurese, sassarese, distinguendo con precisione `ayit da tsippor ci consente una lettura più esauriente di Ez. 39,4.
Sembra così plausibile ritenere che almeno fino al tempo di Ezechiele lo tsippor, abile predatore, si differenziasse dal più vorace e temibile rapace `ayit, ma anche dal più comune e meno aggressivo kanaph.
L’origine del termine tsippor viene considerata sconosciuta (from an unused word).
Essendo Tsippor nome di persona presso i confinanti Moabiti (libro dei Numeri, di Giosuè e dei Giudici) è probabilmente nome di origine fenicia.
Nella tradizione induista è presente una figura mitologica, personaggio del grande poema epico Ramayana, che porta il nome di Jatayu (sanscrito: जटायु).
Jatayu ha le sembianze di un avvoltoio, termine il cui significato andrebbe precisato e inquadrato nella cultura induista e buddista.
Per liberare Sita, moglie di Rama, il generoso Jatayu ingaggia una estenuante ed impari lotta contro il demone Ravana, rapitore di Sita.
Jatayu viene sopraffatto dal demone, che gli taglia le ali; prima di morire indica ai suoi amici inseguitori la strada per raggiungere il demone e così liberare Sita.
Jatayu muore benedetto dallo stesso Rama.
Si noti come il termine Jatayu abbia una forte assonanza con tzappaju e con ciappàggiu e qualche assonanza anche con tsippor.
Jatayu come tzappaju è un nobile uccello predatore e come tsippor è un uccello puro.
Isaia profetizza contro gli aggressori Egitto e Assiria, e annuncia la protezione di Gerusalemme da parte di Iavé, che combatterà sul monte Sion come un leone e proteggerà e libererà Gerusalemme come lo tsippor che vola sopra la sua nidiata [Isaia 31,5 : rPoci (tsippor) @W[ (oof)]. Il comportamento difensivo dello tsippor verso i suoi piccoli è paragonato all’intervento protettivo di Iavé verso il suo popolo. Lo tsippor è creatura pura e nobile, immagine della forza protettiva di Iavè.
Da questa breve analisi emerge l’importanza e l’utilità della lingua sarda, logudorese e sue varianti,
anche nell’interpretazione di testi della sacra scrittura, consentendo di cogliere il senso più pieno del messaggio di vita veicolato dalla parola di Dio.
La lingua sarda, nonostante, da parte dei governanti e dei formatori ci sia stato un costante disinteresse, l’incapacità di valorizzarne le peculiari caratteristiche e le opportunità fono-sintattiche e lessicali, il sistematico atteggiamento svalutativo, e talora l’intervento punitivo nei confronti di chi si esprimeva in sardo, con l’intento di desertificare la lingua sarda, ha conservato fino ad oggi termini e contesti culturali che si rivelano di grande utilità per la comprensione di espressioni linguistiche e descrizioni comportamentali di svariate culture in senso sincronico e diacronico.
Come testimonia questa breve nota, è importante anche solo dal punto di vista dell’interesse e dell’amore alla comprensione e all’approfondimento dei testi sacri dell’ebraismo, del cristianesimo e dell’intera umanità, coltivare la lingua e la cultura sarda.
La lingua sarda logudorese e tutte le sue varianti linguistiche, è opportuno che vengano ripristinate, in ambito familiare, in ambito sociale e lavorativo, soprattutto nel contesto scolastico e formativo.
Le sacre scritture, mediante una lingua e una scrittura molto antiche e di difficile comprensione, veicolano un messaggio vitale, nuovo e creativo per il cristiano e per l’uomo di ogni tempo.
Tutte le conoscenze linguistiche e culturali che possono aiutare ad una migliore comprensione dei sacri testi vanno incrementate e perseguite con impegno e tenacia.
Il recupero intelligente di parole, di modi di dire e di forme organizzative e culturali di epoche anche remote, delle popolazioni della Sardegna, può rivelarsi altamente proficuo e ottenere insperati risultati nella comprensione delle sacre scritture.
La lingua sarda logudorese con le sue varianti è considerata a buon diritto la più antica lingua dell’Europa.